Tre storie diverse, con tutto il loro carico di paure e di vite che la guerra in Ucraina rende “sospese”. Quante sofferenze si portano dietro le persone che si presentano agli uffici della Caritas-Spes per chiedere un sostegno?
Grazie all’ascolto degli operatori della Caritas-Spes di Odessa, ci sono arrivate queste tre storie di sfollati, persone costrette a lasciare la città di Kherson dopo la grande emergenza causata dalla distruzione della diga di Nova Kakhovka. Queste persone, come tante altre, ricevono un sussidio dalla Caritas-Spes Ucraina, reso possibile grazie ai fondi raccolti da AMU e AFN.



Olga è fuggita da Kherson con il figlio e i genitori, dopo che i russi hanno fatto saltare in aria la diga di Nova Kakhovka e la città era stata parzialmente inondata. Non ce la faceva più, aveva resistito abbastanza sotto l’occupazione russa, quando ogni spostamento, ogni necessità di vita era diventato un rischio.
Così, quando i militari hanno cominciato a esigere che il bambino frequentasse una scuola russa, ha sentito che era giunto il momento di andarsene.
Il signor Mykola ha affrontato un lungo viaggio attraverso la Russia per arrivare fin qui, a Odessa, e trovare la possibilità di continuare a vivere nonostante la guerra. I racconti del’uomo sono dettagliati. Anche lui viene da Kherson: vivere in quella città occupata dai russi era diventato quanto di più pericoloso e difficile.
Ma non era questa la prova più grande da superare. Si trovava fuori città quando le truppe ucraine, avanzando per liberare Kherson, hanno tagliato i collegamenti stradali. Il signor Mykola è rimasto isolato in territorio controllato dai russi per sei, lunghissimi, mesi. In seguito, quando i russi hanno distrutto la diga di Kakhovskaya, è riuscito a fuggire e a raggiungere Odessa. Una fuga durata dieci giorni.
Quando l’acqua della diga ha inondato il quartiere Ostriv di Kherson, Lyudmila e la sua famiglia hanno dapprima pensato, e sperato, che l’alluvione sarebbe passata in fretta. Così si sono trasferiti in una zona della città più sicura. Aspettando di poter fare ritorno nella propria casa, che non avevano abbandonato nemmeno a causa dell’occupazione russa.
Ma l’alluvione li ha messi in condizione di non poter più scegliere, bisognava andar via. A Odessa, negli uffici della Caritas-Spes, Lyudmila ricorda quei mesi con le lacrime agli occhi: “È stato terribile, vivevamo con una paura continua”. Sotto la loro abitazione c’era un posto di blocco dei soldati russi, e ogni volta che si dovevano allontare, venivano fermati e perquisiti. Anche un tatuaggio con simboli ucraini poteva diventare un pericolo: “Ora possiamo solo sperare per il meglio”.
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