STORIE DI MONDIALITÀ

A braccia aperte

da | Apr 23, 2022

La mia esperienza di volontariato in Kenya al progetto Magnificat di AFN nella baraccopoli di Mathare, Nairobi

Mi chiamo Marco, ho 23 anni e a dicembre mi sono laureato in Statistica. Subito dopo ho deciso che non volevo iniziare subito il corso di laurea magistrale ma fare esperienze che mi potessero far crescere. Avevo voglia di conoscere nuove persone, affrontare nuove sfide e vedere realtà diverse. La pandemia ci ha tenuto chiusi in casa e in me sentivo la necessità di partire e aprirmi al mondo.

Ciò di cui sentivo il bisogno non era tanto partire per turismo, ma avevo bisogno di donarmi all’altro e rendermi conto di quali fossero le vere difficoltà e sofferenze. Volevo dare una mano, ma ero anche conscio che allo stesso tempo avrei ricevuto altrettanto dalle persone che avrei incontrato.

Ho deciso quindi di partire alla volta dell’Africa come volontario con il progetto Milonga. Direzione Nairobi, Kenya.

Nel mio mese e mezzo qui, ho alloggiato a Mariapolis Piero, la cittadella del Movimento dei Focolari in Kenya e mi sono inserito in due progetti. Metà ore lavorative ho collaborato negli uffici dando una mano nella contabilità, le restanti ore mi hanno impegnato nella baraccopoli di Mathare dove ho aiutato nel progetto Magnificat, un progetto di AFN Onlus con l’obbiettivo di aiutare i bambini di questa baraccopoli che vivono nella totale povertà.

L’impatto con una cultura e una nazione diversa dalla mia è stato forte, ma appena ho conosciuto i bambini della scuola mi si è scaldato il cuore. Mi sono sentito subito a casa, accolto. Il concetto di accoglienza lì è molto importante, tant’è che la prima parola che in Kenya si impara è “Karibu” che in lingua Swahili significa “Benvenuto” e i bambini sono i primi ad accoglierti a braccia aperte. La cosa impressionante è stata in primis come sono stato accolto nonostante fossi io questa volta il “diverso”. Infatti mentre in Europa la diversità quasi spaventa e viene molto analizzata, in Kenya gli abitanti volevano sapere tutto di me: conoscermi, rendermi partecipe della loro vita, farmi conoscere il loro Paese…

Nonostante i bambini non parlassero bene l’inglese si è creato un forte legame tra di noi, alla fine la lingua non era più di tanto necessaria perché la cosa importante era condividere il tempo con loro, dargli qualcosa di te, giocarci insieme. La semplicità e la loro bontà mi hanno catturato, mi ha colpito la felicità che mostravano per ogni piccola cosa, come il ricevere una caramella, e la gioia che avevano nonostante le enormi difficoltà in cui si trovano. Penso che in questo il progetto Magnificat sia essenziale perché dà loro una prospettiva ed è il primo modo che hanno per trovarsi in dei buoni punti di aggregazione e capire quanto sia bello imparare. Allo stesso tempo Magnificat offre a questi bambini anche cibo di cui spesso purtroppo si trovano a dovere fare senza.

Mathare è molto grande e vi sono vari progetti che operano in questa realtà, tuttavia penso che la particolarità del progetto Magnificat è anche il legame di fratellanza che si crea con tutte le famiglie che vengono a contatto con la scuola. Nella mia permanenza lì ho conosciuto molte famiglie dei bambini, e Magnificat e i suoi insegnanti sono un punto di riferimento anche per loro che vengono accolti, ascoltati e con cui viene mantenuto un rapporto forte di amicizia. Bellissimo è anche come molti bambini ormai cresciuti e diventati adolescenti siano rimasti in contatto con la scuola e le sue maestre. Con loro infatti abbiamo fatto delle attività pomeridiane extrascolastiche.

E’ stata una bella sfida, diversa da quella di aiutare i bambini di 4-6 anni. I ragazzi del luogo oltre la scuola non hanno purtroppo possibilità di svago, luoghi di incontro e modi di dialogare e crescere su tematiche non scolastiche. Le maestre hanno avuto molta fiducia in noi volontari e insieme abbiamo creato delle attività in modo da donare a questi ragazzi qualcosa di noi. Abbiamo così fatto attività teatrale, cineforum, dibattiti sulla parità dei sessi, l’andare controcorrente, le amicizie, i loro sogni e le loro difficoltà e così via. Il rapporto di amicizia non si è creato immediatamente come con i bambini, c’è voluto più tempo e impegno, ma alla fine dell’esperienza è stato bellissimo sentirli felici per ciò che avevamo fatto.

Spero di aver dato loro qualcosa di me, io ho sentito che sono stato utile perché ho stuzzicato un po’ le loro menti così come allo stesso tempo ringrazio tantissimo loro e tutto ciò che ha caratterizzato questa esperienza perché ho ricevuto tanto. Ho scoperto una realtà diversa, un modo di vivere aperto, di comunità. Ho conosciuto persone buone. Ho visto e ascoltato molte difficoltà e questo ha ridimensionato la mia visione dei problemi e ha acceso in me una scintilla con il desiderio di portare la gioia in tutti i cuori delle persone perché c’è chi ha poco o nulla come questi ragazzi ma non si lamenta mai ed è felice. In swahili si dice: Habari? (Come stai?) e la risposta è sempre e soltanto Mzuri (Bene).

Grazie Kenya, a presto!

Marco D’Ercole

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