In un Paese dove la malnutrizione è una delle maggiori cause di mortalità infantile, si lavora per salvare la vita a tanti bambini.
Attraversare il ponte di liane, presenta grandi difficoltà, soprattutto se si trasportano pesanti bagagli sulla testa e un bambino legato sulla schiena. Tuttavia la sfida più ardua per la gente di Man è ben altra.
Nel cuore dell’ ovest della Costa d’Avorio, la città, il cui nome deriva dal sacrificio del capo del villaggio di Gbêpleu alla fine del XIX° secolo è conosciuta come città delle 18 montagne, poiché contornata da una catena di colline alternate da cascate. Una delle attrazioni turistiche, è il ponte di liane che conduce ai villaggi dietro la cascata.
Nonostante il Paese sia primo produttore mondiale di cacao, secondo il Ministero della Salute, il 14% dei bambini è affetto da malnutrizione. Per i piccoli sotto i 5 anni, essa comporta alto rischio di mortalità o condizioni patologiche gravi con danni irreversibili.
A partire dal ’98, a seguito di numerosi casi di malnutrizione, alcune donne hanno chiesto aiuto alla comunità dei Focolari del posto. Sono cominciate visite a domicilio nella città di Man per raggiungere le famiglie e stabilire un rapporto di fiducia. Si è avviato cosi un progetto per sradicare le diverse forme di malnutrizione a partire dai quartieri di Libreville, fino a Doyagouiné con l’apertura di un Centro Nutrizionale a Man.
Sono cominciate visite a domicilio in una sessantina di villaggi per comprendere l’ampiezza del fenomeno. AFN ha dato degli aiuti a partire dal 2008. Il Centro Nutrizionale ha formato dei comitati in 15 villaggi e 60 villaggi beneficiano del progetto. Al Centro Nutrizionale lavorano un infermiera, 2 assistenti per la presa delle misure antropometriche, 2 traduttrici e delle persone che lavorano all’orto e alla preparazione delle farine.
«Seguiamo 150 bambini malnutriti ogni mese e mamme giovani sottoalimentate non in grado di portare avanti l’allattamento» ‒ spiega Magrit, infermiera al centro.
Le cause della malnutrizione sono molteplici: la scarsa disponibilità di alimenti adeguati, la diffusa ignoranza di nozioni alimentari e sanitarie di base, il limitato accesso all’acqua potabile, la poligamia. L’arrivo improvviso della guerra nel 2002 e poi ancora un secondo conflitto nel 2010 ha reso il contesto ancora più difficile, azzerando risorse economiche, valori culturali e morali. Resta un’economia di pura sussistenza e un gran numero di bambini che sperano in un futuro diverso. Grazie ai due mulini del progetto si trasformano i grani in farina, si preparano alimenti ricchi di ferro e nutrienti. Una volta a settimana l’equipe e i beneficiari fanno formazione sanitaria e nutrizionale per la prevenzione: «Insegniamo i principi nutritivi e l’importanza dell’utilizzo dei prodotti locali: cereali, legumi, mais, soya, manioca. ‒Dice Magrit ‒ Promuoviamo l’allattamento esclusivo da 0 ai 6 mesi, la vaccinazione, la cura dell’igiene e lo screening per la prevenzione. Favoriamo lo sviluppo della relazione mamma-bambino, in quanto anche l’affetto e l’accudimento sono importanti come il cibo perché un bambino cresca sano».

Arrivano al centro anche diverse donne in depressione post partum. Non essendo considerata questa come uno stato richiedente cure, ma un tabù, alla mamma viene qualche volta tolto il neonato che, senza latte materno, diventa denutrito. «Abbiamo preparato una stanza per accogliere le mamme in questa condizione: c’è chi si occupa del neonato e chi di loro, finché le vediamo interessarsi di nuovo al figlio, dargli il latte. Restituiamo loro il coraggio e la gioia di vivere».
Una volta apprese le principali nozioni di educazione nutrizionale e di igiene, le mamme stesse si occupano di formare a loro volta quelle di altri villaggi. «Le famiglie fanno riferimento a noi perché non c’è un altro centro nutrizionale nella regione», continua Magrit. Secondo la superstizione popolare, chi è colpito dalla cosiddetta “malattia della scimmia”, temuta come una maledizione, va lasciato morire. Ma Ephrasie non si rassegna e con il bambino stretto tra le braccia, magro, emaciato, la testa grande, sproporzionata, scappa dai suoi familiari. Avendo saputo che tanti bambini sono guariti al Centro Nutrizionale, chiede che anche suo figlio venga accolto. Dapprima è ricoverato all’ospedale, poi inserito nel programma alimentare. Oggi ha 11 anni, sta bene ed ha potuto studiare; è il più bravo del villaggio.
In questi anni, nonostante le numerose sfide del contesto socio ambientale, il progetto ha supportato circa 25 mila bambini da zero a cinque anni e 1500 donne in gravidanza e in allattamento. Il 98% dei bimbi malnutriti sono guariti, altri sono ancora nel programma di prevenzione. Una sessantina di quelli salvati una volta cresciuti ha espresso il desiderio di ricevere un’istruzione. Si è riusciti a trovare un locale per realizzare una piccola scuola.
Da quando Magrit ha cominciato a lavorare al centro sono trascorsi venti anni: «E’ importante per me fare tutto quello che posso per dare nuovo impulso a questo progetto. Servono collaboratori che si uniscano a noi in questo spirito di fraternità e trovare insieme nuove vie perché questo lavoro continui, si sviluppi e possa salvare tanti bambini malnutriti. Abbiamo avviato anche una piccola vendita di prodotti per sostenerci, ma il ricavato è molto limitato. Il vostro aiuto economico è fondamentale per andare avanti: la sfida più ardua infatti è quella di non poter chiedere denaro a chi muore di fame!»
Giovanna Pieroni