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Il potere dei sogni

Il potere dei sogni

“Volevo un mondo migliore ed ero disposto a mettere la mia vita in gioco per questo”. Storia di Emerson e della sua comunità nell’Isola di Santa Terezinha. 

I sogni grandi sono quelli fecondi che generano vita,  capaci di seminare pace e fraternità. Quando  papa Francesco parlava così ai giovani radunati al circo Massimo di Roma, ho pensato ad Emerson. Dalla folta chioma nera e lo sprint di un ragazzo con un grande ideale, la sua storia  fa da ponte tra diverse realtà, dando voce ad una tra quelle spesso dimenticate.

Emerson Marinho Pinto nasce e cresce in una favela alla periferia di Recife, nel nordest del Brasile, un posto che nella metà degli anni ’60 veniva chiamato Isola dell’Inferno, a causa dell’alto indice di miseria, prostituzione, furti e omicidi.

«Le famiglie vivevano in palafitte e mocambos  improvvisati con  materiale trovato per strada ‒ racconta. ‒Non esistevano strade né opere di canalizzazione fognaria. Le persone morivano di fame o per mancanza di assistenza sanitaria. Tutti dicevano che quello era un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, nessuno osava metterci piede».

In tale situazione, un padre gesuita credette alla possibilità di un mutamento. Cercò di scuotere  gli abitanti, incitandoli a lottare per i propri diritti ed essere protagonisti del loro stesso sviluppo. Quando il padre gesuita terminò il suo mandato, l’arcivescovo di Recife, chiese al movimento dei Focolari di portare avanti l’opera iniziata. «Tante furono le difficoltà, racconta  Emerson, ma la sfida  fu un’occasione di crescita per tutti e seminò in gran parte della gente del posto profonda consapevolezza di sé e senso di appartenenza a quella terra, che finalmente non era più solo portatrice di disgrazie, ma anche di speranza e di amore fraterno».

La popolazione cominciò ad organizzarsi e dette vita all’associazione degli abitanti. Insieme realizzarono la bonifica delle aree allagate, la costruzione di vere case, creando condizioni di vita più degne. Aprì  una scuola elementare, un ambulatorio medico per combattere  la mortalità infantile. Grazie anche alla collaborazione con i frati francescani, costruì una fabbrica di materiale edilizio, creando opportunità di lavoro per le famiglie.

In questo clima di rinascita, sul finire degli anni ’70, l’ Isola dell’Inferno venne ribattezzata Isola di Santa Terezinha.

Si costituisce l’AACA – Associazione di sostegno per i bambini e gli adolescenti: una ONG della comunità legata alla chiesa cattolica e al Movimento dei Focolari. Nel centro situato all’interno della comunità, tuttora, vengono accolti più di 450 bambini e adolescenti, a cui si offre loro supporto nutrizionale  e varie attività pedagogiche, sportive e culturali, realizzate anche grazie al sostegno a distanza di AFNonlus. Anche Emerson ha beneficiato di queste opportunità: «Fin da giovani, i miei genitori hanno vissuto nell’Isola dell’Inferno, hanno digiunato per giorni in assenza di cibo. Oggi l’Isola non è paragonabile a ciò che è stata», spiega Emerson. «Le lotte del passato e l’aiuto di generosi sostenitori hanno portato condizioni di vita migliori, ma queste non possono ancora ritenersi accettabili. I giovani  hanno due alternative: la prima è studiare per tentare di trovare lavoro, formare una famiglia oppure offrire la propria vita al narcotraffico, sempre a portata di  mano. Dietro questa illusione, ho visto molti amici perdere la vita».

Le attività del coro e del teatro-danza coinvolgono i ragazzi togliendoli dalla strada. «Tante volte abbiamo contrapposto, il nostro canto al rumore degli spari e i trafficanti hanno deciso di non interrompere le nostre iniziative». Seguendo questa scia, Emerson a 18 anni comincia a lavorare nell’AACA come educatore sociale e si iscrive all’Università di sociologia.

Un giorno arriva all’Isola di Santa Terezinha Emanuela, una ragazza italiana desiderosa di fare un’esperienza concreta di servizio: «Credevo nella fraternità universale, dice Emy, e volevo conoscere concretamente quel cosiddetto “terzo mondo” per il quale orientavo nel quotidiano le mie scelte etiche e sociali».

Poi aggiunge Emy «ho imparato a guardare questo posto con gli occhi di Emerson, a spendermi per questa comunità coi modi che lui sapeva mostrarmi». Intanto Emerson, si rende conto che la giustizia sociale non poteva rinchiudersi nei soli confini della sua realtà. La sfida presto viene condivisa con Emanuela,  le due vite si intrecciano in unica storia.

Attraverso uno scambio interculturale, Emerson arriva a Roma e  si iscrive al corso di Laurea di Mediazione Linguistica. Oggi, ha 27 anni ed è sposato con Emy, e professore in quella Università, che ha promosso la stipula di una convenzione tra la stessa e  l’AACA. «In questo modo gli studenti italiani possono svolgere il loro tirocinio traducendo le letterine che i bambini del sostegno a distanza inviano ai propri sostenitori, entrando così in contatto coi loro vissuti». Con Emy, conclude Emerson «ci sentiamo chiamati a tradurre la nostra esperienza di vita in qualcosa di concreto, organizzando momenti in cui presentare il progetto e la nostra vita». Tutto sta nel credere nei sogni e impegnarsi per realizzarli. I grandi sogni non si comprano, come afferma papa Francesco ai giovani, ma ci sono dati gratuitamente affinché poi possiamo offrirli agli altri.

Giovanna Pieroni