Azione Famiglie Nuove
Un gesto di speranza

Un gesto di speranza

La “Maison Notre Dame” offre alle famiglie sfollate e a quelle libanesi varie forme di assistenza, insieme a istruzione, salute e lavoro.

Non so se, come diceva Euripide, perdere la propria terra natale sia il più grande dolore al mondo. Però senz’altro è drammatico quando i problemi che ne derivano sono enormi.

Chahad, per esempio, aveva un buon lavoro che assicurava una vita dignitosa a tutta la famiglia di quattro bambini, poi in Siria è arrivata la guerra e sono scappati. Ora vivono in un container insieme ad altre sei persone. Devono camminare e fare una lunga fila per ricevere due litri d’acqua e la scarsa razione di cibo; ma il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ha annunciato l’imminente esaurimento di fondi disponibili. Intanto il flusso dei profughi che varcano il confine continua ad aumentare. In Libano nel 2012 erano 18 mila, oggi sono un milione e mezzo. Praticamente un quarto della popolazione. A questi vanno aggiunti i 10 mila profughi iracheni. Per la piccola nazione, estesa quanto l’Abruzzo, sommersa da difficoltà interne, priva ancora del presidente della Repubblica, l’impatto è devastante: grave crisi economica, aumento di prezzi e disoccupazione, congestione dei servizi pubblici.

In questa situazione di emergenza umanitaria, la “Maison Notre Dame” è luogo di accoglienza di tanti profughi. Offre alle famiglie sfollate e a quelle libanesi assistenza, istruzione, salute e lavoro, favorisce integrazione, formazione professionale e inclusione sociale attraverso progetti di sviluppo grazie al Sostegno a distanza di AFN onlus (SAD). Coordina tutto Janine Safa dei Focolari, in collaborazione con l’Irap, l’Istituto per bambini sordi nato negli anni Sessanta, e in sinergia col ministero degli Affari sociali.

La Maison, che sorge su un terreno donato alla Chiesa nel quartiere di Aїn-Biacout a nord di Beyrouth, era nata per accogliere rifugiati musulmani e cristiani, durante la guerra degli anni Ottanta. I locali sono sfruttati al massimo. L’asilo, frequentato da una cinquanta di bambini cristiani e musulmani, adesso accoglie anche bambini rifugiati siriani. Si dà loro colazione, pranzo e merenda. Le insegnanti sono ex-alunne cresciute grazie al SAD. C’è anche l’assistente sociale che si occupa delle famiglie del quartiere. Nel pomeriggio, quando i bambini tornano a casa, nelle aule studenti universitari impartiscono lezioni di francese, arabo e matematica a ragazzi adolescenti. Durante il week-end il “Club de Jeunes” offre attività sportive ed educative in collaborazione con altre ONG per prevenire la delinquenza dei giovani di strada. Presso il laboratorio artigianale “Atelier Ayadina” si dà opportunità di lavoro a un numero crescente di donne e si vorrebbe aprire un punto vendita permanente nella città di Beyrouth. Il Centro medico assicura visite, cure e vaccinazioni; la frequentazione è aumentata del 50 per cento perché le famiglie, non avendo un lavoro sicuro, non possono usufruire dell’assicurazione sociale dello Stato.

Amal è una delle infermiere del Centro medico: «L’abbiamo conosciuta quando aveva otto anni, le era morto il padre, viveva per strada – racconta Nicole dell’équipe –. Grazie al SAD ce l’ha fatta. Oggi è sposata, lavora, ha due bambini che può educare a quei valori che ha sperimentato». Chahad, rifugiato siriano, ha l’assistenza necessaria per la bambina ipoudente e la sua famiglia. Il SAD, segno di solidarietà che supera le frontiere, porta la speranza, sempre più attesa in una situazione disastrosa apparentemente senza vie di uscita.

«Vi portiamo nei villaggi di sole, nelle stradine buie, nelle case e nei luoghi di incontro, ed è così che si porta il concetto di una possibile fratellanza universale, nonostante tutti gli eventi avversi – scrive Nicole nella lettera ai sostenitori –. Lo sguardo delle mamme, la benedizione degli anziani, il sorriso dei bambini, la preghiera ardente nelle famiglie sono il nostro regalo in cambio».

In seguito agli scontri tra esercito libanese e forze ribelli dell’Isis ad Ersal sul confine siriano-libanese, ci sono più controlli nei campi profughi, dove si pensa ci siano molti miliziani Isis infiltrati che reclutano le persone. Una trentina di soldati libanesi sono stati rapiti dalle forze jihadiste. Alcuni decapitati, altri giustiziati. «Anche ad Aїn-Biacout si vive nella paura e nell’angoscia – racconta Nicole –. Alcune famiglie del quartiere hanno cacciato altre siriane. Cionondimeno crediamo che con rispetto, condivisione e tolleranza possiamo affrontare la forte corrente di integralismo religioso. Dopo oltre trent’anni di presenza, sentiamo l’esigenza di rafforzare le nostre azioni, che sono le chiavi per aprire ancora più grandi vie di dialogo e sviluppo umano per raggiungere obiettivi che aiuteranno la popolazione a sperare in un domani migliore». Non possiamo lasciarli soli. «I libanesi mostrano una grande forza e generosità, ma troppi sono i problemi cui devono far fronte – ha dichiarato Antonio Guterres, dell’alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati –. Sostenere il Libano non è solo un imperativo morale, ma è anche necessario per fermare il continuo deterioramento di pace e sicurezza».

di Giovanna Pieroni