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Un tempo sospeso

Un tempo sospeso

Quando le scelte di responsabilità fanno la differenza: la vita dei ragazzi e degli operatori di Casa Ismaele durante il lockdown.

Lo scorso 4 Novembre con un nuovo Dpcm, la Calabria è stata decretata Regione a rischio per l’aumento dei contagi da Covid19.Non è una novità per il comune di Rogliano, il cui sindaco il 22 Marzo scorso, ha preso la sofferta decisione di dichiarare il comune zona rossa, emettendo l’ordinanza di chiusura generale e salvaguardando così la salute della comunità.

Una chiamata di responsabilità e di senso civico per gli abitanti, una scelta di tutela della salute pubblica, a fronte di non pochi sacrifici che ha coinvolto tutti, anche la realtà di Casa Ismaele, centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati sito nel piccolo comune. “Quando abbiamo ricevuto l’ordinanza del sindaco, che ha sempre espresso molta vicinanza e collaborazione per Casa Ismaele, ci siamo subito preoccupati – parla Maria Rende, direttore del progetto SIPROIMI per minori – ma non ci siamo lasciati sconfortare e abbiamo subito riorganizzato la vita nel centro secondo le nuove disposizioni. ”Tutti noi abbiamo vissuto, da Marzo a Maggio, un periodo complicato, una rottura della routine che ha impattato fortemente sulla nostra quotidianità, facendoci vivere in un tempo sospeso. È facile quindi metterci nei panni dei ragazzi, ospiti nella comunità di accoglienza, che stanno iniziando a muovere i primi passi nella direzione dell’inclusione sul territorio.

Ragazzi che stanno perfezionando l’italiano, intraprendendo tirocini o prove lavoro, che hanno, come tutti i loro coetanei, amici e hobby e che hanno dovuto sospendere tutto in nome di qualcosa di più grande e invisibile.

Abu, vive a Casa Ismaele da tre anni, parla bene l’italiano e lavora presso un supermercato della zona, dove ha intessuto ottime relazioni con i colleghi e la clientela. “Quando mi hanno detto che non potevo più andare a lavoro né uscire mi sono molto preoccupato. Mi sono mancate le attività normali, come giocare a calcio con gli amici, ma ho avuto la compagnia degli operatori, che sono stati con noi sempre”. “Ricordo bene quando l’educatore mi ha comunicato che non sarei andato a scuola per un po’. Ho seguito con la didattica a distanza, ma non mi piace perché non posso interagire con gli altri. Per fortuna qui a casa non mi sono mai sentito solo”, aggiunge Salah, ragazzo di 16 anni proveniente dal Marocco e che ha dovuto sospendere la scuola e il corso di formazione professionale da barman che stava svolgendo a Cosenza.

“Comunicare della chiusura e delle nuove disposizioni ai ragazzi non è stato semplice, di colpo tutte le loro abitudini sono cambiate, scuola, lavoro, uscite, attività ludiche: tutto finito. Fortunatamente abbiamo potuto contare su una equipe molto valida e disponibile, gli operatori, gli educatori, l’assistente sociale, la psicologa e i mediatori hanno fatto il possibile per dare ai ragazzi un po’di serenità, anche quando tutto sembrava difficile”, continua la coordinatrice del centro. In particolare, due educatori, Francesco Gabriele e Alfusainey Touray, in maniera volontaria si sono offerti di vivere il lockdown con i ragazzi, rimanendo con loro per due settimane intere.

“Abbiamo preso questa decisione per il bene dei ragazzi e dell’intera comunità – ci racconta Francesco – vivere la comunità h24 è stato faticoso ma arricchente, ci siamo inventati attività, giochi nuovi,e non sono mancati i momenti di condivisione molto profondi.

Ci siamo tenuti aggiornati sull’andamento dei contagi, sia in Italia che nei Paesi di provenienza dei ragazzi, e questo è stato decisivo per far capire a tutti la necessità di stare in casa. Ci sono stati giorni belli e brutti, ma abbiamo avvertito una grande comprensione da parte dei ragazzi, che non ci hanno mai chiesto di uscire e si sono attenuti alle regole senza problemi. Abbiamo anche creato una palestra, organizzato serate cinema e un torneo calcio balilla per non pensare al momento che stavamo vivendo. Oltre al divertimento i ragazzi hanno dovuto seguire anche la didattica a distanza”. Francesco e Alfusainey non sono però rimasti soli, tutta l’equipe di Casa Ismaele ha collaborato costantemente con loro, monitorando la situazione e gestendo eventuali problematiche, attraverso riunioni settimanali online e condivisioni quotidiane. Emilia Soda, assistente sociale del centro, ha lavorato a distanza per il periodo di lockdown, ma la sua attenzione per le vite dei ragazzi non ha accennato a diminuire.

“La paura era dovuta alle notizie di contagio nel mondo e soprattutto all’apprensione per i familiari dei ragazzi che vivono in zone svantaggiate dell’Africa, e in condizioni di povertà. Sono stata vicina a chi nel mese di marzo è stato impegnato a tempo pieno con i ragazzi in struttura, con videochiamate e telefonate.

È stato al mio rientro, a maggio che ho capito quanto il periodo passato per i ragazzi, chiusi in struttura, abbia lasciato un senso di responsabilità, mi sono intenerita ritrovando una comunità resiliente e pronta a ripartire.” Oggi, seppure un nuovo DPCM abbia decretato nuovamente la Calabria zona rossa, per gli abitanti di Rogliano e per i ragazzi e operatori di Casa Ismaele, quel 22 Marzo sembra lontano e vicino al tempo stesso. Ne tengono traccia i volti muniti di mascherine, il distanziamento che poco ha di spontaneo in una terra dove la vicinanza fisica è culturale, quelle nuove abitudini che a volte ci sembrano così lontane da noi, ma ci accompagna la consapevolezza che la responsabilità collettiva in una crisi sanitaria può fare la differenza.