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L’importanza di essere regolari

L’importanza di essere regolari

Oggi più che mai, data l’emergenza sanitaria che stiamo attraversando, occorre regolarizzare le fasce più vulnerabili della popolazione, per tutelare la salute di tutti.

Secondo le stime attuali, in Italia ci sono circa seicentomila immigrati irregolari che vivono ai margini della società, molti dei quali in condizioni di precarietà assoluta, all’interno di abitazioni di fortuna e senza un lavoro regolare. È facile intuire come una situazione del genere, già drammatica in condizioni ordinarie, sia enormemente più grave in tempo di crisi sanitaria dovuta alla diffusione del Covid-19.

A porre all’attenzione delle istituzioni questa fotografia allarmante è il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Ricciardi, insieme ad altre realtà del terzo settore che si occupano di inclusione sociale e lavorativa dei migranti. La proposta è quella di regolarizzare attraverso permessi di soggiorno temporanei, per garantire la salute di tutti e la tenuta sociale del Paese. Anche la ministra per le Politiche Agricole, Teresa Bellanova, ha richiamato la questione, legandola al tema del lavoro in nero. “Dobbiamo combattere lo sfruttamento di chi è costretto a lavorare per paghe da fame e vive in condizioni precarissime – ha sottolineato la ministra – Quando parlo di regolarizzare queste persone, parlo di combattere il lavoro nero, di tutelare tutte quelle imprese che scelgono, e sono la maggior parte, la legalità, di assicurare diritti e dignità. È una sfida di civiltà, giustizia sociale, buona economia che ci interroga tutti”.

Alla fine di novembre, l’Asgi ha proposto al governo di introdurre una modalità di regolarizzazione ordinaria a chi cerca lavoro, così come avviene in altri Paesi Europei. In una situazione di emergenza sanitaria regolarizzare queste fasce vulnerabili assume una connotazione ancora più urgente, sia per tutelare la salute di queste persone e permettere loro l’accesso alla sanità pubblica, sia per garantire maggiore sicurezza all’interno del nostro Paese, che rischia di vedere nuovi focolai di infezione all’interno dei conglomerati rurali che ospitano i lavoratori stagionali.

Se ci dirigiamo a Rosarno, in Calabria, zona già tristemente nota per lo sfruttamento dei braccianti all’interno delle coltivazioni di arance, troviamo una situazione di totale disinteresse e negligenza da parte delle istituzioni. Anche i comuni limitrofi di San Ferdinando, Gioia Tauro e Taurianova sono costellati di campi formali e informali all’interno dei quali la condizione sanitaria è insufficiente. Attualmente i casi di Coronavirus in queste zone sono molto limitati, ma quando si vive in sette in una tenda separata dalle altre da una distanza molto ridotta, senza acqua ed elettricità, è facile capire come la situazione possa esplodere da un momento all’altro. Per ora l’igienizzazione dei campi e le cure mediche sono state offerte da una rete solidale composta da varie associazioni, come Mediterranean Hope o Medici per i diritti umani, nella più totale noncuranza delle istituzioni. Non solo. La stagione delle arance sta per finire e la maggior parte di queste persone, che già non ha un contratto, non avrà più un lavoro e una motivazione valida da scrivere sulle autocertificazioni per gli spostamenti. In una condizione di normalità molti di loro sarebbero andati a Saluzzo, in Piemonte, per raccogliere le mele o in Puglia per i pomodori. Ma ad oggi, a causa dell’emergenza sanitaria, almeno 1.200 persone si trovano bloccati in Calabria, senza tutele né diritti.

A inizio Aprile abbiamo assistito a una risposta efficace e tempestiva da parte del Portogallo, che ha dato un esempio di civiltà e solidarietà, firmando la regolarizzazione per i migranti e i richiedenti asilo, attraverso un permesso di soggiorno pendente, che garantisce loro gli stessi diritti dei cittadini fino al primo Luglio. Siamo fiduciosi in una azione concreta anche da parte dell’Italia, che, tralasciando le divergenze politiche, metta al primo posto la tutela delle persone in questo periodo di emergenza.

Anita Leonetti