Quando Mohamed ha scoperto la sua malattia era Natale dllo scorso anno. «La responsabile del centro mi è corsa incontro allibita: un linfoma piuttosto aggressivo. Andavo da lui tutti i giorni all’ospedale, perché era solo e a causa della chemio non stava bene». Arrivato il momento di essere dimesso, avrebbe dovuto trasferirsi al primo Sprar disponibile. «Se fosse stato nostro figlio, non l’avremmo lasciato nell’abbandono totale in centri forse malandati, senza garanzia della qualità delle cure e con nessuno vicino. Con mia moglie Graziella – racconta Franco –, abbiamo pensato che se fosse stato nostro figlio non avremmo voluto questo per lui ed abbiamo deciso di accoglierlo nella nostra casa, affinché possa vivere questi sei mesi duri della sua vita in una famiglia, seguito da noi e da un ospedale all’altezza, senza interruzioni della cura. Ci hanno dato l’80% di possibilità di farcela. In questa situazione, il benessere psicologico è fondamentale e lui ora non è più solo».
Mohamed ha perso il papà da piccolo e per una serie di situazioni è stato strappato dalla mamma a soli 13 anni. Prima è stato portato in Gambia poi in Libia, dove è stato caricato su un gommone per l’Italia. Arrivato lo scorso maggio, in questi giorni ha ricevuto il riconoscimento dello status di rifugiato umanitario.
«Ci dice sempre che vorrebbe rintracciare la madre….» Una missione praticamente impossibile: Abobo, da dove proviene, è un quartiere di favelas grande come la nostra città di Pescara, senza vie e indirizzi, a nord di Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio. «Eppure, intanto, siamo riusciti a contattare il fratello. Non si sentivano da 11 anni e uno pensava dell’altro che fosse morto. La madre è attualmente in Guinea per soccorre un altro fratello che si è rotto una gamba, lavorando nelle miniere d’oro».
Accolto dalla famiglia di Franco e Graziella, Mohamed è divenuto fulcro della comunità che si è creata intorno a lui. Alcune famiglie lo invitano a cena, altre gli danno lezioni di italiano e aiutano nel seguire le pratiche per i documenti necessari. Il parroco ha attivato una rete di persone che due volte a settimana fanno arrivare a casa pranzi e cene pronte. «Troviamo supporto anche dal centro di accoglienza migranti “San Donato” di Pescara e dalla rete di AFNonlus. I nostri figli Luca e Federica sono diventati i suoi fratelli maggiori: lo coinvolgono nelle loro attività, Luca gli ha insegnato a prendere l’autobus, gli fa lezioni di matematica e gli sta facendo conoscere tutti i suoi amici. Federica lo porta nella sua scuola di ballo. Non sappiamo dove ci porterà quest’avventura…Siamo persone normali, ma ci fidiamo della Provvidenza. Un piatto in più, qualche medicina cosa costa?… e possiamo dare affetto, “famiglia”. Scopriamo quanto questo ragazzo sia stato un dono che ha risvegliato i valori più belli in famiglia ed intorno a noi, stiamo ricevendo molto più di quanto doniamo».
Giovanna Pieroni